di Ferdinando Pessoa
traduzione e regia di Fabio Mazzari
con Nicoletta Ramorino, Annina Pedrini e Lara Franceschetti
traduzione e regia di Fabio Mazzari
con Nicoletta Ramorino, Annina Pedrini e Lara Franceschetti
dal 12 al 22 dicembre 2006 alle ore 20.45
Spazio ZAZIE
“Il marinaio” di Ferdinando Pessoa – artista e uomo dalla personalità eclettica, poeta dell’inquietudine e scrittore dalle molteplici personalità – ritorna allo spazio ZAZIE, dal 12 al 22 dicembre 2006, con Nicoletta Ramorino, Annina Pedrini e Lara Franceschetti a cura di Fabio Mazzari.
Definito dal suo autore un dramma statico, composto di getto nel corso di un’unica notte d’ottobre del 1913, “Il marinaio” è intriso delle influenze delle poetiche simboliste che circolavano dappertutto nell’Europa di quegli anni.Ambientato in una stanza fiocamente illuminata, tre fanciulle vestite di bianco vegliano una loro coetanea. Prive di identità e di memoria, destinate a vivere una sola notte, le tre donne per potersi credere reali, sono costrette a parlare, a raccontarsi a vicenda i loro sogni, a inventarsi una vita possibile. “Il marinaio” è un’opera giovanile che anticipa molti dei principali temi dell’autore: quello dell’inutilità delle parole, dell’avventura marinara vista da un porto da cui non si parte mai, o quello dell’ ”eteronomia” rappresentato dalle figure, uguali e diverse, delle tre vegliatrici, ma soprattutto quello del sogno che qui costituisce il tessuto incantato del testo. Nella messa in scena la parola, elegantemente lirica e preziosa, è insieme detta e contemplata con gli occhi della mente, o dietro gli occhiali miopi, dietro il fumo della sigaretta di un composto e dimesso signore, che forse non è mai esistito. Le tre figure femminili si muovono e si cercano nella nebbia evanescente del linguaggio, e nel cammino dalla notte al giorno, sentono e intravedono i contorni di una realtà, che non è più quella del sogno, ma quella della vita, quella delle emozioni, quella del corpo. Quella, forse, di loro stesse..
Definito dal suo autore un dramma statico, composto di getto nel corso di un’unica notte d’ottobre del 1913, “Il marinaio” è intriso delle influenze delle poetiche simboliste che circolavano dappertutto nell’Europa di quegli anni.Ambientato in una stanza fiocamente illuminata, tre fanciulle vestite di bianco vegliano una loro coetanea. Prive di identità e di memoria, destinate a vivere una sola notte, le tre donne per potersi credere reali, sono costrette a parlare, a raccontarsi a vicenda i loro sogni, a inventarsi una vita possibile. “Il marinaio” è un’opera giovanile che anticipa molti dei principali temi dell’autore: quello dell’inutilità delle parole, dell’avventura marinara vista da un porto da cui non si parte mai, o quello dell’ ”eteronomia” rappresentato dalle figure, uguali e diverse, delle tre vegliatrici, ma soprattutto quello del sogno che qui costituisce il tessuto incantato del testo. Nella messa in scena la parola, elegantemente lirica e preziosa, è insieme detta e contemplata con gli occhi della mente, o dietro gli occhiali miopi, dietro il fumo della sigaretta di un composto e dimesso signore, che forse non è mai esistito. Le tre figure femminili si muovono e si cercano nella nebbia evanescente del linguaggio, e nel cammino dalla notte al giorno, sentono e intravedono i contorni di una realtà, che non è più quella del sogno, ma quella della vita, quella delle emozioni, quella del corpo. Quella, forse, di loro stesse..