HUIS CLOS – PORTE CHIUSE

di Jean Paul Sartre
traduzione Massimo Bontempelli
con Annina Pedrini, Elena Sardi, Fabio Mazzari, Gea Riva
regia di Fabio Mazzari

14/24 marzo 2005 
ore 20.45 – Spazio ZAZIE

Debutta in prima nazionale allo spazio ZAZIE, lo spettacolo HUIS CLOS (Porte chiuse) di Jean Paul Sartre, con la regia di Fabio Mazzari, che rientra nel progetto “Sartre 2005, cent’anni di Sartre…” dedicato a rilanciare la sua opera teatrale in Italia, organizzato da ScenAperta – Polo teatrale dell’Altomilanese, in collaborazione con Centre Culturel Français di Milano, con il patrocinio della Provincia di Milano e la Regione Lombardia L’inferno sono gli altri, è la celebre conclusione cui giunge Sartre alla fine di “Huis clos” (Porte chiuse). Scritto in una quindicina di giorni, nell’autunno del ‘43, e andato in scena l’anno successivo, questo testo ebbe subito un grande successo, tanto da rimanere per anni nei teatri parigini e da ottenere, nel ‘47, negli Stati Uniti il premio per la migliore opera teatrale straniera. Dunque “L’enfer c’est les autres”. Partendo da questa affermazione-manifesto, tipica idea sartriana dell’impossibilità di un rapporto interpersonale, Fabio Mazzari ha costruito uno spettacolo che si sviluppa sul tema della reciprocità mancata, sul tema dello sguardo dell’ altro, come specchio e condanna delle nostre azioni e del nostro tentativo di esistere. Tre personaggi, un uomo e due donne, si incontrano in un luogo misterioso, portando addosso la propria colpa, che è quella del sé, dell’individualismo autistico, chiuso, elusivo. In una parola, del narcisismo. E quindi l’inferno, oltre ad essere rappresentato da un eterno, impossibile, disperato, stare insieme è costituito anche dalla memoria, che è il tormento estremo per chi ha vissuto sempre ed esclusivamente nell’istante, nel riflesso appagante e sterile dello specchio dell’io. La memoria. Che qui si materializza nei suoni e nei richiami della vita appena lasciata, attraverso le grate di una finestra, o dentro una radio, nelle parole di una canzone dolce e straziante, nel profumo di una Francia anni ‘40, rifiorita di speranze e di miti. E il luogo, la stanza, dove i tre personaggi si studiano, si affrontano, si desiderano, si respingono, non è più il pomposo, decaduto, salotto stile impero descritto da Sartre, ma una specie di terra di nessuno, una lingua di muro, una parete fra interno ed esterno, fra ricordo e presente, dove le tracce che affiorano qua e là, di immaginario e insieme di reale, fanno pensare ad un altro tipo di inferno, forse più terribile, che è quello costituito dall’inconscio o, appunto, dalla memoria.